Negli ultimi anni la comunità scientifica si sta interessando in maniera crescente ai virus della famiglia HPV (Papilloma virus) poiché un gruppo di essi (definiti High risk) può causare lesioni che possono trasformarsi in cancro. La famiglia dei virus HPV (Human Papilloma Virus) comprende circa 120 tipi di virus a DNA, che vengono divisi in gruppo ß che infetta la cute causando le comuni verruche e gruppo α che infetta le mucose. I virus del gruppo ß sono sostanzialmente innocui e causano la comparsa delle verruche plantari e palmari, nonché dei condilomi, lesioni che non tendono a diventare maligne. I virus del gruppo α si differenziano invece in un sottogruppo chiamato low risk, non oncogeno, che comprende l’HPV 6 e l’HPV 11 e causa la comparsa di lesioni papillomatose, ed un sottogruppo definito high risk che rappresenta il più pericoloso, e comprende i sottotipi HPV 16 e 18 responsabili dell’insorgenza di lesioni mucose con un’alta probabilità di trasformazione in cancro.

L’infezione da HPV

Virus in bloodLa via di infezione per gli HPV cutanei (gruppo ß) è il semplice contatto, che può avvenire con una stretta di mano piuttosto che camminando scalzi in piscina. L’infezione del gruppo α colpisce le mucose della bocca e genitali e, pertanto, è sostanzialmente un’infezione a prevalente trasmissione sessuale. Occorre premettere che le stime valutano che l’85% degli adulti abbia contratto nel corso della vita un’infezione da HPV. Fortunatamente nei soggetti immunocompetenti l’infezione ha un decorso rapido, spesso asintomatico, ed il virus viene distrutto senza ulteriori conseguenze. Purtroppo in un 10% dei casi, specialmente nei casi di infezione da virus cosiddetti High risk (tipo 16 e 18) l’infezione diviene persistente. In tal caso l’organismo non riesce a debellare il virus, che si lega stabilmente al DNA delle cellule infette e ne altera le proprietà. Il virus costringe quindi le nostre cellule a produrre delle sostanze, definite proteine E6 e E7, che hanno lo scopo di inattivare alcuni “interruttori” cellulari (RB e p53) definiti “oncosoppressori” poiché inibiscono la trasformazione maligna delle cellule. A questo punto, le nostre cellule infette, con i “freni” antitumorali spenti, vanno incontro alla trasformazione maligna. Dal punto di vista oncologico quindi è d’interesse l’infezione da subtipo 16 e 18, la cui trasmissione avviene per contatto diretto tra mucosa sana e mucosa malata. Gli studi mostrano che i contatti sessuali rappresentano il massimo fattore di rischio, specialmente tra i giovani adulti, ed è stato dimostrato che il rischio aumenta in maniera lineare con l’aumentare del numero di partner sessuali. Per l’infezione del cavo orale e dell’orofaringe anche il semplice bacio risulta essere rischioso. È comunque opportuno ribadire che soltanto nel 10% dei casi l’infezione si trasforma in infezione persistente e causa delle lesioni precancerose. Le lesioni precancerose a loro volta impiegano per lo più alcuni anni prima di trasformarsi in un carcinoma infiltrante. Solo in pochi casi, probabilmente per un particolare legame tra genoma virale e DNA della cellula umana, può accadere che si sviluppi un tumore maligno già poco tempo dopo l’infezione.

L’importanza epidemiologica dei tumori da HPV nel campo ORL

L’associazione del virus HPV con le neoplasie del collo dell’utero è stata scientificamente provata già negli anni ’70; negli anni ’80 furono pubblicati i primi casi di tumori orofaringei associati al virus e recentemente molti studi stanno analizzando il ruolo oncogenico del virus HPV nei carcinomi ano-rettali, penieni e vaginali. L’affinamento delle metodiche laboratoristiche consente oggi una precisa identificazione del genoma virale all’interno dei tessuti tumorali. L’identificazione del DNA virale avviene con l’Ibridazione, definita I.S.H. (In Situ Hybridisation) o con la reazione a catena della polimerasi definita P.C.R.. È inoltre possibile identificare l’mRNA virale con il test qRT-PCR che è utile per dimostrare lo stato di attività di un’infezione. Per quanto riguarda le modalità di contaggio occorre ricordare che già nel 1842 il medico italiano Rigoni-Stern, analizzando i certificati di decesso delle donne di Verona, notò una notevole frequenza di decessi da cancro dell’utero nelle donne sposate e nelle prostitute, patologia invece rara nelle vergini e nelle donne non sposate. Ciò lo indusse a concludere che il cancro all’utero potesse avere qualche rapporto con l’attività sessuale. A livello orofaringeo, come avviene nel collo dell’utero, è evidente che l’infezione venga prevalentemente contratta tramite i rapporti sessuali, come documentano vari studi che correlano in maniera evidente il rischio di contrarre il virus con il numero dei partners. Alcune pubblicazioni riferiscono addirittura di casi di coppie colpite simultaneamente da carcinomi tonsillari HPV 16 indotti. In realtà, ancor prima che si conoscesse la capacità oncogena del virus HPV, da molti anni gli specialisti ORL hanno già notato un’anomalia in campo oncologico. Si tratta di pazienti molto giovani, privi di altri fattori di rischio (fumo, alcool), che vengono colpiti da tumori della bocca o della regione tonsillare, di cui non se ne comprende la possibile origine. Oggi si hanno le prove che nella stragrande maggioranza sono tumori indotti dal virus e tali tumori sono in fase di aumento epidemiologico tale da far parlare di un’epidemia tumorale indotta dal virus HPV. A livello epidemioloigco gli studi, associati alla disponibilità di esami che oggi consentono di identificare la presenza del virus nei tessuti tumorali, hanno chiaramente dimostrato un progressivo calo negli ultimi 10 anni dei “comuni” tumori della bocca e dell’orofaringe causati da fumo ed alcool ed un costante aumento dei tumori legati ai virus. Dal punto di vista della localizzazione, i tumori HPV-indotti prediligono l’orofaringe, ed in particolare la tonsilla palatina e poi, con frequenza decrescente, la laringe ed il cavo orale. Globalmente si può asserire che una percentuale tra il 15 ed il 25% di tutti i tumori della sfera ORL sia indotta dal virus HPV, che è responsabile del 65% dei tumori orofaringei e tonsillari. Per quanto concerne la prognosi, fortunatamente, i tumori HPV-indotti mostrano un comportamento decisamente più benigno rispetto ai tumori ORL non-HPV, con una migliore risposta alla radioterapia ed una minore tendenza a dare recidive locali.

La prevenzione

Come già indicato, l’infezione da HPV è sostanzialmente a trasmissione sessuale con un fattore di rischio che aumenta con il numero di partner. È quindi ovvio che un atteggiamento equilibrato in campo sessuale costituisca la prima prevenzione. Dal 2006 sono disponibili un vaccino bivalente per i tipi 16/18 ed uno quadrivalente per i sottotipi 6/11/16/18 con cui è stata avviata una campagna vaccinale profilattica sulle adolescenti in almeno 40 nazioni. Ad oggi purtroppo non esiste una metodica che sia in grado di confermare l’avvenuta protezione vaccinale del singolo paziente e la campagna vaccinale prosegue con difficoltà per le resistenze legate principalmente alla sicurezza dei vaccini. Studi futuri potranno fornire informazioni sulla reale efficacia e sicurezza di questi “vaccini di prima generazione”. Ulteriore informazioni sui problemi legati ai vaccini sono ottenibili al seguente link. I vaccini non sono efficaci sulle persone già infette dal virus; la comunità scientifica sta lavorando a nuovi vaccini curativi che hanno come bersaglio le proteine virali E6 ed E7 e che consentiranno di trattare soggetti già malati. Fortunatamente per la fascia di giovani esclusi dalla prevenzione, può essere interessante prevedere l’uso di prodotti biologici che fanno parte della nuova famiglia di farmaci della MIT (Micro Immuno Terapia), uno dei quali è specifico per l’HPV. Si tratta di un prodotto naturale e privo di effetti collaterali che si è dimostrato in grado di curare donne affette da lesioni virali dell’utero nel 100% dei soggetti trattati e può essere impiegato nella prevenzione sia dei carcinomi orali che uterini.